Premessa al I volume

Ripresento in questo volume i saggi alfieriani già editi nel 1969 dalla «Nuova Italia» e nel 1981 dagli «Editori Riuniti» e vi aggiungo, all’inizio del volume, uno scritto del novembre 1980: un breve saggio sintetico in forma di lettera inviata ad un convegno alfieriano. In quella lettera, che mirava soprattutto a preparare una recita del Saul, era espressa tutta la mia lucida passione per quel poeta, l’Alfieri, che è stato per me (certo dopo il Leopardi) non solo uno dei piú alti poeti della nostra tradizione moderna, ma anche uno dei piú congeniali alla mia stessa anticonformistica prospettiva umana, letteraria, etico-civile (anche se diversamente orientata dal punto di vista sociale).

Di tale congenialità e potente attrazione presi chiara coscienza – dopo un primo approccio indiretto attraverso l’ascolto di un finissimo corso pisano di Attilio Momigliano – in un periodo assai importante della mia gioventú, segnato da un forte tumulto di dolori e di affetti, di impegni etico-politici (nell’antifascismo di sinistra, dominato dal problema della «libertà nel socialismo», prima nel movimento liberal-socialista e poi nel partito socialista), d’intensa attività critica sia con il volume La poetica del decadentismo del ’36 (che impostava la prima formulazione del mio metodo storico-critico con la centrale nozione di «poetica»), sia con numerosi saggi di critica militante nelle riviste del tempo (soprattutto «Letteratura»).

Proprio nelle tragiche vicende di quegli anni della dittatura e della guerra fascista, in un periodo di congedo dalla mia forzata partecipazione a quella guerra, accolsi un invito di Cantimori a scrivere una «vita interiore» di un poeta moderno in una collana diretta da Luigi Volpicelli e scelsi l’Alfieri, e, come in un impeto, lessi e rilessi tutta l’opera alfieriana e scrissi nell’inverno ’40-41 il volumetto Vita interiore dell’Alfieri, poi pubblicato nel 1942 e ripubblicato qui in appendice.

Ne risultò un libro certo troppo «eloquente», ma vivo e significativo storicamente e personalmente per me (ripeto, nel periodo della guerra, della dittatura alleata con la monarchia e con la chiesa e della letteratura come frutto di conformismo e di disimpegno), cosí come era criticamente pieno di spunti: specie il rilievo della natura «tragica» del teatro alfieriano in netto contrasto con la sua «lettura lirica» allora dominante.

In certo modo, insomma, quel libro rinnovò anche l’interesse etico-politico per l’Alfieri, già destato dai saggi di Calosso e di Gobetti agli inizi del fascismo anche fra gli operai torinesi. E trovò infatti lettori attenti in una cerchia popolare cosí diversa da certi intellettuali pur progressisti il cui giudizio sull’Alfieri era improntato ad una incomprensione della carica dirompente e preromantica – opposta alla dimensione oratoria e aulica che gli si attribuiva – accentuata proprio dalla ardua compressione classicistica.

Piú tardi arricchii la mia prima immagine alfieriana attraverso un saggio sulle lettere dell’Alfieri (pubblicato nella «Rassegna d’Italia» del Flora, nel 1946, poi ampliato nella introduzione dell’einaudiana edizione di Giornali e lettere scelte di Vittorio Alfieri nel 1949 e ancora ripreso e rivisto per il suo inserimento nel volume Critici e poeti dal Cinquecento al Novecento, Firenze, La Nuova Italia, 1951): un saggio in cui «umanizzavo» e rendevo piú complesso – senza falsare l’aristocratica, eroica scelta di affetti e valori – il vero volto dell’Alfieri.

Mentre al culmine del mio lavoro su Preromanticismo italiano (Napoli, ESI, 1947) l’Alfieri veniva configurato come punta esplosiva dell’epoca preromantica e della crisi dell’illuminismo.

Una ripresa fondamentale della mia interpretazione alfieriana e della ricostruzione del percorso storico-poetico dell’Alfieri fu piú tardi costituita da due corsi universitari a Genova (1953-1954 e 1954-1955) dalle cui dispense trassi e sviluppai la maggior parte dei saggi qui ripresentati: il saggio sul Saul (pubblicato in Studi di varia umanità in onore di Francesco Flora, Milano, Mondadori, 1963), quello sulla Mirra (ne «La Rassegna della letteratura italiana», 1957, poi in Carducci e altri saggi, Torino, Einaudi, 1960) e quindi sulle prove supreme della interpretazione profonda, pessimistico-eroica della tragedia umana e della sua espressione tragico-teatrale propria del grande poeta del «purtroppo». Mentre il saggio Il periodo romano dell’Alfieri e la «Merope» (in Studi in onore di Carlo Pellegrini, Torino, SEI, 1963) preparava la zona alta di Saul e Mirra lumeggiando soprattutto il braccio di ferro della Merope con le omonime tragedie del Maffei e del Voltaire con cui l’Alfieri si assicurava della bontà e novità del suo sistema tragico, il saggio Il finale della «Tirannide» e le tragedie di libertà (ne «La Rassegna della letteratura italiana», 1963) precisava il piú diretto rapporto politica-poesia nelle prospettive possibili per l’azione dell’«uomo libero» e quello La prima parte delle «Rime» (ne «La Rassegna della letteratura italiana», 1961) metteva in nuova luce quella direzione ed esperienza poetica fertilissina che fruttò, anche attraverso l’Agide e la Sofonisba, con la loro piega cavalleresco-altruistica, lo straordinario arricchimento di nuove tensioni delicate e ardenti, l’estrema riprova della tragedia umana nel suo rapporto con inesorabili leggi superiori.

E soprattutto (mentre dal ’53 in poi intervenivo con schede ed articoli nella mia rivista su studi critici alfieriani e offrivo spunti di interpretazione di tragedie e altre opere dell’Alfieri) diveniva chiara la piú consolidata presenza della poesia dell’Alfieri nella mia esperienza critica sia con la forte collocazione di quel poeta nella evoluzione del Settecento letterario (Poetica e poesia del Settecento italiano, relazione al congresso di italianistica di Magonza pubblicata ne «La Rassegna della letteratura italiana», 1962, e poi in L’Arcadia e il Metastasio, Firenze, La Nuova Italia, 1963) sia per l’esemplarità dell’opera alfieriana da cui traevo tanti spunti nel mio volume metodologico, Poetica, critica e storia letteraria (Bari, Laterza, 1963; ora in edizione accresciuta Firenze, Le Lettere, 1993), sia ancora per il rilievo di stilemi e motivi profondi alfieriani entro lo sviluppo della poesia del Leopardi, come risultava per il linguaggio delle Satire, alimento per la zona fra Palinodia e Ginestra, o si evidenziava nella intera formazione del giovane Leopardi (relazione recanatese del ’62, Leopardi e la poesia del secondo Settecento, ne «La Rassegna della letteratura italiana», 1962, poi in La protesta di Leopardi, Firenze, Sansoni, 1973: e lo stesso volume specie per la ribadita congenialità ed esemplarità alfieriana per il giovane Leopardi).

Piú tardi mi impegnai in un lungo capitolo monografico nel VI volume, Il Settecento, della Storia della Letteratura Italiana dell’editore Garzanti (1968), ulteriormente ripreso e molto ampliato e arricchito nel volume Settecento maggiore. Analisi della poetica e della poesia di Goldoni, Parini e Alfieri (Milano, Garzanti, 1978), che costituisce la piú sintetica e intera ricostruzione della personalità e della poesia dell’Alfieri che risulta nel mio lungo lavoro critico dedicato a quel grande poeta.

Questo vasto capitolo alfieriano che intitolo Profilo dell’Alfieri occupa gran parte del secondo volume di questi Studi alfieriani.

All’amico Arnaldo Di Benedetto presidente del Centro Nazionale di Studi Alfieriani di Asti desidero esprimere un cordiale ringraziamento per avermi sollecitato a questa nuova presentazione nella Collana da lui diretta di studi dedicati a uno dei miei poeti prediletti e per averne promosso l’attuazione.

Come altri miei libri (fin dal primo: La poetica del decadentismo, 1936), anche questi due volumi alfieriani sono dedicati ad Elena, la mia compagna che da piú di sessanta anni mi ha vigorosamente e tanto affettuosamente sorretto nella mia non facile vita e nella mia attività di critico di poeti.

Roma, 16 settembre 1994